
Solo Draghi tiene unita questa maggioranza: la diagnosi (pro FdI) di Letta che non piace ai draghiani
Di fatto oltre a Giorgia Meloni, che non ha mai cambiato posizione sul tema, c’è una fetta di dem che vorrebbe le urne. Ma quel centro che, un anno fa, ha stimolato il cambio di leadership a Chigi non è d’accordo
“Se Draghi rimanesse a Palazzo Chigi sarebbe un fatto positivo ma ne parleremo a gennaio. Non lo so se questa maggioranza andrebbe avanti dopo di lui. Oggi fa fatica ad andare avanti, lo sta facendo grazie a un senso di responsabilità”. Le parole del segretario dem, Enrico Letta, ospite della festa di Atreju di FdI aprono di fatto ad una seneggiatura nuova per il Pd con le diverse sensibilità del Nazareno (e della fronda draghiana) rispetto agli scenari che si stanno delineando tra chi preme per Draghi al Colle (con voto anticipato) e chi preme perché resti dov’è.
Quando Letta chiede uno sforzo per “un Colle attraverso un largo consenso in una situazione emergenziale come la nostra” certifica la sua essenza democristiana nel metodo. Certo, c’è chi dietro questa apertura a destra vede una convergenza di obiettivi come le urne sempre chieste da Giorgia Meloni. Non solo in quanto padrona di casa ad Atreju, ma come interlocutrice riconosciuta, la leader di FdI incassa anche i consigli di Letta: “Il gioco di Meloni è quello di avere una destra agganciata all’Europa che va al governo in quanto tale non con accordi spuri, – ha osservato il segretario – che chiede i voti in quanto destra con i suoi valori. Voglio fare la stessa cosa dall’altra parte”.
Poi Letta indica anche due o tre punti programmatici su riforme (“se non si votasse il più presto possibile ma a scadenza naturale, perchè non usiamo l’anno per fare cose fondamentali come cambiare i regolamenti parlamentari: penso al fatto che il gruppo Misto sia un protagonista assoluto, e considero una democrazia che non funziona che in tre anni tre governi e tre maggioranze diverse”) e legge elettorale (“personalmente sono sempre stato per il maggioritario e non ho motivi per cambiare idea”). Ma alla fine più per mescolare le carte che per altro con, in evidenza, quelle parole sulla tenuta della maggioranza che probabilmente rappresentano il navigatore delle strategie lettiane nel Pd post Ditta (e Zingaretti). Non dimentichiamo che gli ultimi due segretari non sono quelli che hanno scelto i candidati dem alle ultime politiche e quindi, comunque, avrebbero l’esigenza tecnica e legittima di modellare la squadra secondo parametri soggettivi così come un allenatore sceglie l’undici da mandare in campo.
Una direzione di marcia che va in senso opposto rispetto al cosiddetto fronte draghiano presente in tutti i partiti della maggioranza, a cominciare da chi (al centro) ha fatto di tutto esattamente un anno fa per stimolare un cambio di leadership a Palazzo Chigi.
@L_Argomento
