Il Pnrr è stato concepito al tempo dell’emergenza pandemica e, dal momento che la maggior parte di quei soldi rappresentano un debito per le future generazioni, sarebbe utile aggiornarlo e tararlo sulle esigenze di oggi, come la crisi energetica. Lo dice a L’Argomento Mino Dinoi, presidente dell’Associazioni Europee di Professionisti e Imprese (AEPI) che il prossimo 19 maggio a Roma metterà attorno allo stesso desco i vertici istituzionali e imprenditoriali del paese, per riflettere su come attuare il piano rispetto alla nuova contingenza nazionale ed internazionale.
Il Pnrr era nato per l’emergenza pandemica, a cui ora si somma quella energetica: pensa sia meglio ricalibrare o riscrivere il piano?
Il piano va rivisto e riadattato. Veniamo da un Pnrr redatto nell’era pandemica. Oggi, anche alla luce della vicenda ucraina e della mancata fine del Covid, appare superato. Occorre avere una sana visione strategica di dove si vuole portare il paese, ripartendo dall’efficientamento energetico da applicare su tutti i territori e su tutte le tematiche. Per cui il piano è superato dai fatti e chi ha la responsabilità di governo deve mostrare un’azione strategica ad ampio respiro per il medio-lungo termine. Si tratta di un provvedimento che è finalizzato al rilancio del paese e poiché per la stragrande maggioranza della sua consistenza ci indebita non poco, appare evidente che sarebbe meglio non sprecare questa occasione.
Il dossier energetico come impatta sul quadro generale?
In passato si sono fatte scelte sbagliate, è stato miope non scegliere la via dell’indipendenza energetica e oggi ne paghiamo le conseguenze. Nel punto in cui siamo è quanto mai necessario investire in nuovi impianti rinnovabili (eolico e solare), gasdotti, rigassificatori, termovalorizzatori. Interventi necessari se, nel lungo termine, vogliamo garantire un prezzo dell’energia basso per imprese e famiglie ormai agli sgoccioli che, di certo, non potranno sopportare oltre questi rincari.
Come ovviare al deficit italico di programmazione di alcuni enti locali?
Sarà fondamentale ripartire dagli enti locali: il Pnrr per come è stato incentrato strategicamente sta emarginando gli enti locali e i piccoli comuni, che rappresentano il cuore della nostra partecipazione. In base a quello si distenderà anche il partenariato pubblico-privato con le imprese. E’ per questa ragione che considero il piano anche un intervento di natura culturale, capace di legare lo slancio economico di quelle eccellenze che rappresentano l’economia reale al circuito delle microimprese. Non si dimentichi che l’Italia non è fatta solo di grandi metropoli. Al Governo diciamo: basta mortificare e abbandonare i piccoli comuni. Con il PNRR occorre ripartire proprio da qui. Grave penalizzazione, risultato dell’evidente disattenzione da parte della politica nazionale e purtroppo indice di una non reale conoscenza della comunità territoriale e del suo status di difficoltà. Spesso sentiamo promesse di valorizzazione delle periferie, peccato che quando si presenta l’occasione di fare qualcosa di concreto, ci si volti dall’altra parte. Chi lavora in un piccolo comune non deve essere discriminato rispetto ad altri. Sappiamo che dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza passa il futuro e lo sviluppo del Paese e non dobbiamo lasciare indietro nessuno.
Come implementare il prezioso ruolo dei professionisti a supporto della pubblica amministrazione?
La pandemia e il caro energia stanno facendo emergere tutte le difficoltà del paese, come appunto le criticità della Pubblica Amministrazione. Il problema antico della pianta organica si somma alla riqualificazione del personale: oggi l’iniziativa presa, ad esempio dal ministro Renato Brunetta, non deve essere una tantum. Noi siamo firmatari dell’accordo raggiunto con i professionisti perché ci crediamo davvero. La nostra esigenza è duplice: da un lato riqualificare il personale degli enti locali attualmente vigente, dall’altro riaprire a nuove assunzioni. Quest’ultimo passaggio attiene anche ad una questione di carattere culturale: le nuove generazioni potranno meglio reggere l’andamento internazionale e nazionale rispetto ad un mondo che è cambiato. Il connubio tra nuove energie e nuove competenze può aiutare il rilancio della Pubblica Amministrazione, senza dimenticare la semplificazione amministrativa. Del resto, come AEPI, continuiamo a sostenere il ruolo dei professionisti a supporto della pubblica amministrazione che anzi potrebbe essere ulteriormente ampliato, considerando che posseggono competenze aggiuntive e specifiche, spesso assenti nella PA. La partita che stiamo giocando è talmente determinante da non poterci certo permettere di lesinare sulle risorse umane qualificate necessarie.
Per centrare l’obiettivo di un’alleanza tra pubblico e privato, è meglio ridurre le regioni o abbattere i tempi burocratici?
In questa fase, va benissimo una collaborazione pubblico-privato in tema di progettazioni. Il problema semmai è che, nonostante le carenze infrastrutturali note da decenni, abbiamo toccato con mano il fatto che enti regionali o locali non avessero progetti pronti da finanziare e far partire. E questo è a dir poco paradossale. Senza dimenticare che città metropolitane e province hanno un deficit di programmazione dovuto alla loro natura e quindi incontrano difficoltà maggiori rispetto ai comuni. L’inghippo sta a monte: dovremmo finalmente tornare a dare una struttura a questi enti che, anziché essere aboliti, sono stati svuotati e invece potrebbero rivestire un ruolo importante sia per i cittadini che per le imprese nella convinzione che l’ambito ottimale di gestione dei servizi sia proprio quello provinciale. Anche perché, nella ripresa del Paese, diventa cruciale il ruolo degli enti locali: comuni, province e città metropolitane svolgono una funzione determinante per la loro prossimità ai cittadini.
Quindi?
Estremizzando il concetto- ma neanche troppo- converrebbe più ridurre le regioni che l’operatività degli enti locali. È necessaria una riforma organica e strutturale: sarebbe opportuno entrare anche nel merito delle funzioni delle regioni tornando al progetto delle 5 macroregioni e al potenziamento del ruolo di comuni e province. Di questo passo continueremo ad essere il Paese delle riforme a metà. Vogliamo essere quelli delle azioni incomplete o quelli che hanno una visione strategica? E poi, soprattutto in questa fase: chi è l’interlocutore ideale? Un governo tecnico o politico? Perché è il momento di un ritorno vero della politica rispetto al tecnicismo. Serve un’assunzione collettiva di responsabilità.
I dati AEPI dimostrano che se da un lato la tabella di marcia del Pnrr è più o meno rispettata, sono invece totalmente fermi altri progetti. Come invertire la rotta secondo lei?
Rispetto al PNRR, dai dati dell’Osservatorio AEPI risulta che siano stati raggiunti 22 obiettivi e 10 siano vicini al raggiungimento. Parliamo ovviamente degli step intermedi completati al 31 marzo scorso. Riguardo i progetti previsti per il 2022, dei 167 ne sono stati avviati oltre i 2/3. Innegabilmente un buon risultato, anche se molto resta da fare. Ma possiamo dire che siamo sostanzialmente nella tabella di marcia prevista. La vera criticità è che sono invece totalmente fermi altri progetti che riguardano infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore che quelli in ambito di energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile. Niente di tutto questo è ancora partito. E questo fa pensare che il governo non abbia una visione d’insieme che possa tutelare e supportare questi settori, quasi fossero in secondo piano. Ma come si può credere che siano minoritari? Anche da questi asset passa il futuro del Paese.
Chi gestirà tali progetti?
Altra criticità sarà indubbiamente la gestione: sino a questo momento abbiamo presentato i progetti, poi bisognerà vedere chi li fa nei tempi dichiarati. Ad esempio, nelle pubbliche amministrazioni periferiche- come regioni e comuni- o enti di ricerca sarà fondamentale la semplificazione e la possibilità di assumere a progetto facilmente, come avveniva prima della riforma Fornero. La vera svolta, inoltre, potrà essere una grande opera di digitalizzazione della PA che non sia solo passare in pdf le procedure cartacee, ma che ci ponga al pari di altri Paesi europei.
@L_Argomento