Si arricchisce di un nuovo capitolo la crisi del petrolio dopo l’invasione russa dell’Ucraina: l’occidente non vuole più l’oil di Mosca? E Putin lo vende all’India.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno dichiarato di essere vicini al tetto massimo di produzione di petrolio, in vista della visita di Joe Biden, che dovrebbe fare pressioni per aumentare la produzione. Di contro il presidente Usa punta a che l’Arabia Saudita e gli emirati si impegnino per abbassare i prezzi del petrolio, visto che negli Stati Uniti i consumi sono scesi ai minimi dell’era della pandemia. Ma Riyadh vuole che Biden arrivi senza richieste di esportazione di petrolio e invece porti un pacchetto che includerebbe ulteriore supporto alla difesa da parte degli Stati Uniti.
L’Arabia Saudita a maggio ha fatto segnare un dato di 10,45 milioni di barili pompati al giorno, per cui nell’immediato futuro potrebbe verosimilmente puntare a un aumento della produzione dalla sua Zona Neutrale condivisa con il Kuwait.
Due giorni fa i prezzi sono aumentati perché i principali produttori del golfo sembravano essere in difficoltà nell’aumentare la produzione: al contempo i governi occidentali hanno deciso di verificare se esiste un modo indolore per limitare il prezzo del petrolio russo. Il riferimento è ad un potenziale divieto di trasporto del petrolio russo che è stato venduto al di sopra di un certo prezzo. Altri fattori di destabilizzazione si ritrovano in Libia, dove la compagnia Noc potrebbe dover dichiarare uno stato di emergenza nel Golfo della Sirte se le spedizioni non riprenderanno.
In sostanza la Russia sta compiendo molti passi in avanti nel mercato petrolifero diventando il principale fornitore indiano. Alla luce della fine delle relazioni con gli acquirenti europei, la Russia ha deciso di vendere 1,2 milioni di barili al giorno a Nuova Dehli. Ovvero soddisferà il 21% di tutte le importazioni in India, riducendo le quote del greggio iracheno e statunitense.
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