Il 15% della produzione mondiale di grano proviene da Russia e Ucraina diretta in Africa ed Asia. Ragion per cui si sta aprendo un fronte caldissimo sul versante alimentare/migratorio, visto e considerato che i due paesi rappresentano l’80% della produzione mondiale di olio di girasole e l’Ucraina è il quarto esportatore mondiale di mais. Un dossier che l’Ue dovrebbe meglio attenzionare, per fare massa e provare a calmierare i prezzi con politiche mirate.
Pasta e pane
Il chernozem è il tipo di suolo scuro ucraino, considerato tra i più fertili al mondo. Per questa ragione il minus alla voce grano già si fa sentire nei paesi del Maghreb e, in prospettiva, rappresenta un tema anche per chi produce pasta e pane soprattutto alla voce costi. L’Italia importa complessivamente il 64% del suo fabbisogno di grano tenero (per pane e biscotti) e il 44% di grano duro per la pasta da Francia (19,9%), Canada (14,4%) e Ungheria (13%); da Kiev e Mosca meno del 2%. In totale all’Italia occorre circa un sesto della produzione mondiale.
Scorte
Per cui il problema, al momento, più che l’approvvigionamento verte una oggettiva speculazione e la foga di fare scorte, con chi prova a fare rifornimento per il futuro, creando un effetto domino. Per questa ragione i prezzi al consumo stavano già aumentando prima della guerra in Ucraina. Sui mercati si assiste ad una domanda senza precedenti di grano da parte di acquirenti che restano sguarniti, perché le consegne dal Mar Nero semplicemente non arrivano. Inoltre la decisione bulgara di fermare le sue esportazioni, che rappresentano il 4% del nostro fabbisogno di grano, incide fino ad un certo punto sulla complessità dei prezzi.
Fame e migrazioni
Diverso invece è il discorso sulle farine, per cui Italmopa – Assciazione Mugnai d’Italia ha lanciato un avvertimento: ci saranno conseguenze sulle produzioni, posto che almeno per un paio di anni da Russia e Ucraina non ci saranno esportazioni di grano e mais. Sul punto pesano le parole del commissario europeo per l’agricoltura Janusz Wojciechowski secondo cui una crisi alimentare potrebbe “aumentare la pressione migratoria sull’Europa”.
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